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In Birmania, senza essere Tiziano Terzani

  • Paolo Ciampi
  • 24 mar 2011
  • Tempo di lettura: 1 min

Ci sono molti modi di viaggiare, molti modi di abbandonarsi

col proprio sguardo al mondo. Molti modi di scrivere per

raccontare quei viaggi.

E ci sono fin troppi libri, che raccolgono quei viaggi, quegli

sguardi, quelle pagine.

Forse abbiamo bisogno anche di disintossicarsi, non della

letteratura di viaggio, certo, ma di tante incrostazioni che su di

essa si sono depositate. Troppa enfasi, troppa retorica del

viaggiatore, troppa presunzione esibita da chi deve puntellare

il senso di un'esperienza che si vuole unica e che deve

trovare ragioni o pretesti.

C'è bisogno di voci sincere, oneste. C'è bisogno di nuovo

sangue nell'esperienza del viaggio e del racconto di viaggio.

E c'è bisogno delle parole misurate e sensate di chi sa che il

primo viaggio è sempre nel mondo dei propri sentimenti e

delle proprie convinzioni, anche se non siamo protagonisti di

un'impresa e non ci troviamo al centro della Storia.

Come in Viaggio in Birmania (nemmeno il titolo ha effetti

speciali), il cui autore non prova a spacciarsi come il Terzani o

il Kapuscinski di turno. Michele Cucuzzella in Birmania - o se

si preferisce in Myanmar - arriva come volontario, per fare

una piccola grande cosa, insegnare inglese ai bambini.

Della Birmania e della sua cultura sa poco, mi pare. E proprio

per questo le sue sono parole pulite, dirette, capaci di

accompagnarci amichevolmente in questo paese magnifico e

maledetto.

Dalla Off the road della Vallecchi un altro bel tassello che si

aggiunge al mosaico delle ragioni per cui viaggiare forse non

sarà indispensabile, però fa sempre bene.


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